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SHOWGIRLS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 novembre 1995
 
di Paul Verhoeven, con Elizabeth Berkley, Gina Gershon, Kyle Mc Lachlan (Stati Uniti, 1995)
 
Il regista Paul Verhoeven

C'era una volta un olandese dal talento sopra della norma, noto per un film "medioevale" truculento ed intelligente, L'AMORE E IL SANGUE. Partì in America, ed ecco ROBOCOP, opera brillante con qualche concessione alle leggi del gusto imperante: letteralmente fatto a pezzi da un gruppo di malviventi, un poliziotto - in un futuro che s'indovina non proprio remoto - viene ricostruito completamente. I rapporti tra l'uomo e la macchina; cosi come altre due costanti del cinema di Paul Verhoeven, il tema dello sdoppiamento, e quello della castrazione. Poi, TOTAL RECALL, definito primo film impegnato di Schwarzenegger: un uomo si fa "trapiantare" la memoria, ma poi gli tocca recarsi su Marte per ritrovare l'identità. Ancora si comprende ciò che interessa al regista: il doppio, la castrazione, l'immobilizzazione che conduce alla robotizzazione, l'ambiguità sessuale. Infine, BASIC INSTINCT. Dove, più delle scene largamente reclamizzate, sono i rapporti fra i personaggi a dettare delle tensioni interessanti: rapporti sadomasochistici, giocati sugli sguardi, sugli atteggiamenti.

Tutto ciò s'intuisce ormai soltanto allo stato caricaturale in SHOWGIRLS, sorta di FLASHDANCE teoricamente hard, di EVA CONTRIO EVA (l'arrivismo nello show business) per addetti al voyeurismo soft. Su una sceneggiatura assolutamente inesistente (sempre firmata da quel Joe Eszterhas che si sta facendo quelle che sapete d'oro, grazie al comprovato binomio sesso e morte) segue le esibizioni -infinitamente riprese- di una spogliarellista aspirante ballerina dal corpo invero splendido (Elizabeth Berkley), quanto dal destino inequivocabilmente segnato: riuscire a suscitare il sonno tra una pseudo-scopata più o meno coreografata e l'altra.

L'immoralità del film non è certamente quella reclamata (lasciate a casa le vostre inibizioni eccetera). Ma, grazie ad una accentuazione espressiva ormai sterile del regista, quella di piegare il mestiere hollywoodiano alle lusinghe dell'onanismo più moscio. E, tramite il disordine di uno script buttato là oltre ogni lecito, quella di contrabbandare l'arte di arrangiarsi del mitico Sogno Americano nella licenza più disinvolta del profitto del prossimo


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